Il “villaggio” e la mamma moderna: tra bisogno e resistenza
Circa 2 milioni di anni fa, da qualche parte in Africa, un gruppo di primati iniziò a condividere la cura dei propri cuccioli. Questa modalità di cura viene chiamata dalla scienza alloparentale e risulta comune a diverse specie di mammiferi, dove le femmine adulte cooperano e si aiutano reciprocamente nella cura dei piccoli.
Rispetto alle altre specie i cuccioli d’uomo nascono ad uno stadio di sviluppo ancora molto prematuro e hanno bisogno di molte cure sia dal punto di vista fisico che emotivo per svilupparsi. Alcune ricerche sostengono che furono proprio l’amore e la connessione ricevuti grazie alle cure alloparentali a permettere al nostro cervello di evolvere e permetterci di diventare quegli esseri intelligenti ed empatici che siamo oggi, almeno in potenza. Una donna preistorica, infatti, mai avrebbe potuto occuparsi da sola della sua sopravvivenza e di quella del suo bambino.
C’è un proverbio africano piuttosto noto che recita: “ci vuole un villaggio per crescere un bambino”, per la maggior parte della storia dell’umanità è stato così. L’allevamento dei figli veniva considerato una responsabilità sociale, e non unicamente personale.
È soltanto duecento anni fa con l’industrializzazione e l’urbanizzazione che le cose sono radicalmente cambiate: la famiglia si è riorganizzata e spesso allontanata dai propri genitori e dalle comunità di provenienza, diventando un nucleo singolo ed isolato. Un pò alla volta si è andata diffondendo l’idea che la “normalità” dopo la nascita di un bambino sia che la madre sola si prenda cura di lui, con tutte le conseguenze che questo ha portato alla nostra cultura e stile di vita.
Ma il concetto di una famiglia nucleare con una sola madre come nutrice e un solo uomo come approvvigionatore è molto rara nella storia, e di certo non è il modo in cui il nostro genoma si è evoluto.
Oggi, oltre alle persone che circondando la donna, sono anche le madri stesse a pensare che dovrebbero fare “tutto da sole”, nel migliore dei casi con l’aiuto del loro compagno. C’è l’idea diffusa che è così che si fa e che si è sempre fatto, che essere autosufficienti significa essere forti e in gamba.
“Nella mentalità individualista dei nostri tempi, anche le donne pensano di doversi arrangiare da sole dopo il parto ed essere in grado di far fronte ai molteplici ruoli con le proprie forze. Poiché questa è una pretesa impossibile, sono ovvi i sensi di inadeguatezza e le sindromi di depressione di varia eziologia che insorgono”.
Verena Schmid
Per questa mentalità moderna, orientata più all’indipendenza e all’autonomia che alla cooperazione, chiedere aiuto o accettare di riceverlo può essere molto difficile e un grande ostacolo da superare, soprattutto dentro noi stesse. Se siamo sempre state abituate ad essere nel ruolo di chi dà, se ci hanno insegnato che è segno di forza cavarcela da sole, chiedere aiuto e/o aprirci a ricevere può rappresentare una grande sfida.
Oltre alla paura forse più diffusa di venir giudicate deboli e inette, ci sono altre paure piuttosto comuni che possono frenarci dal cercare supporto: come il timore di disturbare e di essere un peso per qualcuno, la paura di venire rifiutate ricevendo un “no” come risposta, oppure quella di perdere il controllo della nostra vita nel momento in cui lasciamo che gli altri facciano a modo loro quello che prima facevamo noi.
A volte, anche superati i blocchi interni, la donna realizza oggettivamente di non aver nessuno vicino che possa aiutarla o con cui si sente davvero a suo agio, e così non sa realmente a chi chiedere aiuto e la realizzazione della sua solitudine la colpisce in pieno viso.
Il risultato è sempre e comunque una donna che si trova senza un supporto adeguato nel suo quarto trimestre.
LA NOSTRA EREDITA’ FAMILIARE
Dare alla luce la nuova generazione ci connette con la generazione che è stata prima di noi, il nostro lignaggio. La gravidanza, il parto e il post parto sono sicuramente prima di tutto eventi fisiologici, ma come li gestiamo è altamente culturale. L’esperienza di nostra mamma e di chi è venuto prima di noi può avere un grosso impatto inconscio sul nostro modo di viverli, ma anche sul modo in cui gli altri si aspettano che noi li viviamo: forse anche nostra madre è stata nelle condizioni di arrangiarsi e fare tutto da sola dopo il parto. Forse anche la madre del nostro compagno.
Ma a quale prezzo? Spesso questo nelle famiglie resta un segreto, ma rimane impressa un’idea forte dentro di noi: che le madri si arrangiano, si occupano di tutto e tutti e stringono i denti.
Ora fermiamoci un attimo.
Il fatto che sia stato così per molte donne prima di noi e attorno a noi, e che il senso di fatica ed esaurimento sia comune, non significa che sia normale e che le cose devono restare così per sempre.
Il fatto che la storia ad un certo punto abbia preso una certa traiettoria in nome del progresso economico, non significa che la renda immutabile.
È vero la comunità non esiste più, le donne e gli uomini hanno perso il loro villaggio, ma se noi capiamo l’importanza di riappropriarcene e di rivitalizzare il senso di cura e supporto nel post parto, c’è ancora molto che possiamo fare.
Passare da una modalità in cui si guarda alla mera sopportazione e sopravvivenza delle donne, ad una in cui si ricerca il benessere e la via verso un prosperare della Madre significa rimettere le cose nel “giusto ordine”, riconoscendo che la salute di TUTTI è contingente alla salute delle Madri.
Questo non significa che la salute delle madri sia responsabilità unicamente delle madri stesse. Significa che la salute e il benessere delle Madri deve essere la priorità di ogni comunità che guardi al futuro, poiché è la salute materna a forgiare la strada per il benessere del bambino, delle famiglie e delle intere comunità.
L’aspettativa di dover assolvere da sole ai bisogni fisici ed emotivi di un neonato e occuparsi magari anche della casa, del cibo e di sé è irrealistica, una relazione esclusiva madre-bambino per tutto il giorno e la notte è molto intensa e può esaurire anche la più forte delle donne.
Questa è la verità che oggi viene spesso taciuta e “normalizzata”.
La neomamma non dovrebbe passare molto tempo da sola, idealmente ha bisogno di avere accanto persone che la possano aiutare dal punto di vista pratico, emotivo ed affettivo, oltre che guidarla nel suo nuovo ruolo quando ne ha bisogno.
Nella nostra cultura crediamo che tutti questi compiti dovrebbero spettare al neo papà, credendo in questo modo di formare una famiglia unita con un compagno e un padre presente e amorevole, ma non è così, e a lungo termine questo non porta assolutamente all’equilibrio della coppia, piuttosto il contrario.
La nostra eredità biologica, come quella della maggior parte dei mammiferi, è quella di vivere in comunità, e i diversi tipi di aiuto necessari nel periodo del post parto dovrebbe venire da una rete il più possibile allargata di persone, ognuna con i propri compiti e ruoli specifici.
Non sembrerai debole o incapace nel circondarti di aiuto: assicurarti di ricevere il nutrimento appropriato, il riposo adeguato, lo spazio e le cure di cui hai bisogno, faranno una grande differenza per la tua salute futura e per la tua capacità di prenderti cura del tuo bambino come desideri, sia nel breve che nel lungo termine.
In realtà, è segno di forza interiore e un meccanismo di protezione verso tuo figlio chiedere aiuto e andarlo a cercare!
E’ triste e ingiusto che nella nostra cultura debbano essere le madri a costruire il proprio villaggio, proprio nel momento in cui sono più vulnerabili, stanche e sotto pressione. Ma questa è la situazione in cui viviamo, per cui arrabbiamoci, rattristiamoci, lamentiamoci donne, ma poi… apriamo le nostre menti e diamoci da fare!
Idealmente sarebbe meglio cominciare ad organizzarsi in gravidanza, ma se questo non è il tuo caso non ti preoccupare. Non è mai troppo tardi per creare il tuo villaggio!
Se hai domande e/o dubbi sentiti libera di contattarmi.
Nel prossimo articolo proveremo a capire quali sono alcuni passi che puoi fare. Leggi i 7 modi per creare il tuo villaggio.
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